Di trattative «cosiddette», operazioni «ardite» e conti che non tornano

di davidegangale

Nelle comunicazioni presentate ieri dall’On. Beppe Pisanu, che chiudono due anni d’inchieste da parte della Commissione parlamentare antimafia sulle stragi del 1992-93, le trattative fra lo Stato e Cosa Nostra diventano due. Entrambe qualificate dallo scettico aggettivo «cosiddette».

La prima trattativa è quella che ha visto protagonisti l’allora colonnello del Ros Mario Mori e don Vito Ciancimino, ex sindaco di Palermo morto nel 2002. «Il più mafioso dei politici e il più politico dei mafiosi», secondo la definizione dello stesso Pisanu.

Questa prima trattativa è «cosiddetta» perché sarebbe nata in realtà con ben altro spirito. Vale a dire, come «ardita» operazione investigativa del Nucleo Operativo Speciale dei carabinieri. Uscita fuori dal seminato per colpa di don Vito, interessato a porsi come mediatore di un vero e proprio negoziato fra lo Stato e la mafia, al fine di trarre vantaggi da entrambe le parti. A questo scopo Ciancimino chiese, ma – afferma Pisanu – «non ottenne», un dialogo coi vertici delle istituzioni. Finendo per doversi accontentare di interloquire con dei carabinieri che agivano privi di un mandato politico.

La  seconda «cosiddetta» trattativa sarebbe, invece, figlia di un ridimensionamento della prima. E avrebbe avuto un obiettivo preciso, ma fallito: ammorbidire il carcere duro per i mafiosi. Tutto ruota attorno al DAP, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria diretto dal magistrato messinese Nicolò Amato dal 1983 al 1993. Amato ha recentemente sostenuto che la sua rimozione fu richiesta espressamente dalla mafia, tramite lettera indirizzata al capo dello Stato e ai futuri destinatari degli attentati del ’93, proprio per consentire un capovolgimento della politica penitenziaria.

Tra le parole (e i numeri) di Pisanu e quelli di Amato, le differenze sono sconcertanti. Per il primo, una volta sostituito Amato, soltanto 334 detenuti mafiosi beneficiarono di un provvedimento di revoca del 41 bis. Di questi, soltanto 29 siciliani. In un altro passaggio delle sue conclusioni, l’Onorevole sostiene che nel giro di un anno il 41 bis si ridusse sì del 50 per cento, ma che in generale, considerando i successivi ripristini, questa drastica riduzione ebbe un impatto «meno allarmante» di quanto non sembri.

La versione di Amato non concorda in alcun modo con quella della Commissione antimafia. E ci informa che a partire dal 4 giugno 1993, giorno della rimozione di Amato dal DAP, i detenuti mafiosi al 41 bis passarono nel giro di pochi mesi «da 1350 a poco più di 400».

L’aspetto più controverso e sorprendente è però un altro.

Beppe Pisanu lascia intendere infatti che il direttore del DAP fu rimosso perché in un documento del 6 marzo 1993 manifestò l’intenzione di ammorbidire il 41 bis. L’esatto opposto di ciò che invece racconta Amato, quando descrive la sua sostituzione come l’atto amministrativo propedeutico alla concessione, da parte dello Stato, di una contropartita concreta alla mafia nell’ambito di una più ampia trattativa. Il magistrato attribuisce all’allora capo della polizia Parisi le «perplessità» sul 41 bis espresse nel documento del marzo 1993. Perplessità che il «dittatore» Amato, così definito dagli autori mafiosi della lettera indirizzata al Capo dello Stato, si sarebbe soltanto limitato a segnalare, in quel documento, «per dovere di lealtà».

Una divergenza interpretativa così marcata appare inspiegabile, e i conti della Commissione parlamentare antimafia, fra trattative cosiddette e operazioni ardite, pare proprio che non tornino.